13. Egon Schiele e l’acqua

L’acqua è uno dei simboli fra i più sovradeterminati; è impensabile pensare di dare un significato univoco e semplice al simbolo acqua, così come si potrebbe dare una traduzione ad una parola straniera in un vocabolario.

Il simbolo è una potenzialità di significati; in esso sono riuniti più possibili sensi, anche contrastanti fra loro, ed è il contesto a determinare di volta in volta quale sarà quello prevalente e più importante. L’acqua può essere una palude, e in tal caso le idee in essa espresse saranno di stasi, di morte, di putredine e malattia, di inazione; ma può anche essere una sorgente, viva, fresca, giovane, un nuovo ed immacolato inizio.

Il quadro qui sopra è “Il torrente di montagna” di Schiele. Il fiume è ancora giovane, è appena sgorgato dalla sorgente; è nato pochi metri fa. Le sue acque sono tanto pure quanto ingovernabili. Forse fra la forza indomita e la purezza esiste una relazione, dato che allo smettere dell’una cessa anche l’altra: quando il fiume raggiunge la pianura e si allarga, inizia a scorrere quieto fra gli argini, ma allora la sua acqua si è fatta anche più torbida.

Se l’acqua è energia, gli argini sono il controllo, che contengono ed instradano l’energia. Guardiamo il torrente: ogni sasso è un ostacolo che cerca di frenare e rallentare la dissennata corsa del ruscello, ma non c’è blocco che riesca a far restare fermo il giovane torrente.

Simile è l’essere umano: quando nasce è carico d’energia, un’energia talmente forte e straripante da risultare spesso ingovernabile, al punto da rischiare di danneggiare l’uomo stesso. E’ così che sopraggiunge l’educazione: un argine per rallentare ed incanalare le pulsioni che muovono e spingono l’uomo.

Questo esempio vale tanto per la vita d’un singolo uomo che per la parabola d’un’intera civiltà. Il metro con cui misurare il grado di civilizzazione d’un popolo sta proprio nell’osservare quanto siano riusciti a domare ed irregimentare i propri istinti naturali.

Ma come dicevamo prima, con la perdita di slancio si perde anche la purezza!

Egon Schiele - Il porto di TriesteIl quadro qui sopra, sempre di Schiele, rappresenta il porto di Trieste. L’acqua è ferma e la città è sonnecchiosa; le barche rimangono ferme ed ormeggiate al sicuro, senza nessun uomo che vi lavori attorno.

L’unico movimento che sfiora l’acqua è sufficente a far confondere i riflessi in un groviglio di linee: immagine esemplare della confusione con cui l’uomo ora si rapporta con quell’elemento primordiale, quell’energia che è parte di lui, che è ancora lì, ma che gli appare estranea, irraggiungibile, incomprensibile.

E’ da notare che è proprio la civiltà a rendere il porto così quieto ed immobile: grazie alla costruzione di dighe foranee e frangiflutti la città portuale è riuscita a chiudere fuori le onde vive ed indomabili del mare.

Ma allora, una volta che la tecnica ha completamente domato l’energia primordiale, non c’è più possibilità di cambiamento? La purezza originaria è persa per sempre?

Egon Schiele - Il vecchio mulinoQuesto terzo quadro, sempre dello stesso autore, si intitola “Il vecchio mulino”. Qui vediamo in opera il nemico silenzioso della civiltà, un agente insidioso che però avrà l’importante compito di chiudere il cerchio, riportando lo stato delle cose allo stadio iniziale: la lenta ed inesorabile decadenza.

Il mulino ad acqua è l’emblema per eccellenza della civiltà: raccoglie in sè la corrente del fiume e la instrada in un macchinario, che trasformerà la corsa dell’acqua in una forza motrice per le lavorazioni tecniche dell’uomo, che sia la macina di un mulino, il maglio d’un fabbro o le lame d’una segheria.

La verità è che anche l’acqua ferma, come il bacino artificiale dietro il mulino, continua a lavorare incessantemente, scavando e rosicando, distruggendo i legami briciola per briciola, quel tanto che basta per rovinare giorno per giorno, senza farsi notare.

L’acqua cheta rovina i ponti, recita un vecchio proverbio!

Alla fine, il vecchio mulino è stato sconfitto dall’acqua: le assi di legno sono marcite, prima hanno iniziato a cedere e poi si sono sfasciate del tutto. Sembrerebbe che l’acqua odi i legami ed i controlli, e che cerchi di sfuggir loro in ogni modo, alla ricerca di una via libera.

Ecco: la canalizzazione è rotta, l’acqua non arriva più alla ruota, che rimane ferma, ma può tornare a fluire liberamente, con la stessa corsa che aveva appena uscita dalla sorgente.

Si è detto che il contesto aiuta a definire il simbolo: non è che lo fissi ad un unico significato, ma è come un raggio di luce, che di volta in volta fa brillare una diversa sfaccettatura d’un diamante, a seconda dell’angolazione. Bene, al nostro contesto va aggiunto un altro punto importante: il quadro del vecchio mulino è stato dipinto nel 1916, e Schiele era austriaco.

La prima guerra mondiale è stata una tremenda rappresentazione,su una scala colossale, del simbolo che abbiamo appena intravisto. La bellissima e raffinata civiltà europea era riuscita a controllare ed addomesticare tutti le forze rozze e grossolane che si agitavano nel cuore dell’uomo; la barbarie della guerra era impensabile, una cosa d’altri tempi, ormai sorpassata.

Eppure la cultura europea di inizio secolo era tormentata dallo spettro della decadenza: mentre tutti dormivano sogni tranquilli, i pensatori e gli artisti più sensibili capivano che sotto quella patina di tranquillità e ricercatezza le tremende forze antiche stavano preparando a risvegliarsi, e che al momento del loro ritorno anche quella patina ipocrita sarebbe stata spazzata via all’istante.

La chiusura del cerchio è importante, ma troppo spesso questo passaggio è violento e distruttivo; è come se per tornare all’origine fosse necessario un sacrificio, un tributo, anche di sangue. Lo avevano già capito gli Stoici: per giugere all’apocatastasi, la reintegrazione allo stato originario, è necessaria l’ecpirosi, un grande fuoco purificatore e distruttore che consumi l’intero universo.

Ma è davvero necessario questo tremendo passaggio? Dobbiamo per forza arrivare al punto di non ritorno in cui l’energia viene totalmente schiacciata ed imprigionata da regole ferre ed immutabili, fino al punto di farla deflagrare?

Se vogliamo evitare (anzi, se volessimo evitare) in futuro il ripetersi di incendi immani come le due guerre mondiali, dovremmo impare a comprendere ed ascoltare l’energia, a ricordarci che è una parte di noi, ma che non possiamo costringerla impunemente a piegarsi secondo ogni nostro capriccio.

Ma forse l’umanità non è capace di una simile comprensione, o forse non ancora; fino ad allora, saremo costretti nostro malgrado a continuare l’ennesima replica della stessa recita, rappresentando ancora una volta sul teatro del mondo un’altra variante dello stesso simbolo.