49. L’angoscia di Auguste Friedrich Albrecht Schenck

Angoscia - Auguste Friedrich Albrecht Schenck

Le forme cambiano a seconda del modo in cui le si osserva: un cono può sembrare un cerchio se lo si guarda dal vertice, o un triangolo se lo si vede di lato. Lo stesso vale per i quadri!
L’agnello è morto, e la pecora dietro di lui, probabilmente sua madre, lo sta piangendo; ma già si avvicinano i corvi per far banchetto del suo cadavere.
La lettura più immediata è l’immedesimazione empatica con la madre: l’opera diventa allora il veicolo di una potentissima emozione, una disperazione tanto più nera quanto è cosciente della propria impotenza. E’ un emozione tremenda, eppure il cuore umano cerca anche questi abissi, come se nel farne esperienza vi trovasse una sorta di liberazione – tanto meglio poi se sono soltanto rappresentati su una tela!
Passato l’impatto iniziale, subentrano le interpretazioni allegoriche. Nella nostra cultura, l’agnello è principalmente un’immagine del Cristo, e la sua morte accenna allora al sacrificio della croce. La pecora che lo piange dev’esser quindi Maria; ma i corvi?
Qui subentra la soggettività. Un credente risponderà: il corvo è il peccato, oppure i peccatori, o ancora coloro che non seppero accogliere il messaggio del Vangelo. Ma un anticlericale non potrà far a meno di notare come le loro penne nere richiamino la tunica dei sacerdoti! Furono i sacerdoti del sinedrio a volere la morte di Gesù; e furono dei sacerdoti a ucciderne nel corso dei secoli la parola, con la loro rigidità, la loro ottusità ed i loro interessi.
Se l’osservatore è incline al vittimismo, potrebbe facilmente immedesimarsi nell’agnello, e vedere nei corvi i suoi persecutori, reali o presunti che siano.
Difficilmente ci potremmo immedesimare coi corvi, nonostante spesso finiamo proprio col ricoprire il ruolo di quelli: quando ad esempio seguiamo con interesse morboso le ultime notizie di cronaca nera, o magari quando diamo addosso ai gruppi sociali più deboli per giustificare le nostre deviazioni.
Se usciamo dalla metafora per attenerci ad un punto di vista più concreto e realista, potremmo anche ricordare che pure i corvi devono mangiare per vivere. Se stanno guardando l’agnello è per fame, e non per fare un dispetto alla madre, e neppure per simboleggiare il nero male che prevale sulla bianca innocenza. Forse anche loro hanno dei figli da sfamare, e la tenera carne dell’agnello potrebbe essere la salvezza che permette loro di far scampare alla prole la morte per inedia.
Ogni punto di vista è in fin dei conti legato all’altro: ora che abbiamo pensato ai corvi, ci può viene in mente che anche l’eucaristia è il corpo di Cristo, la carne dell’agnello sacrificale donata per la salvezza dei peccatori.
Nessuna interpretazione è l’unica: non esiste un significato giusto o sbagliato, ma visioni più o meno parziali. Anche l’intenzione dell’autore conta solo fino ad un certo punto: quante volte capita di compiere qualcosa pensando invece di intendere tutt’altro?
Quello fra opera ed osservatore è un rapporto a due: la prima è il presupposto oggettivo, e l’altro è la componente soggettiva. Entrambe sono importanti, ma nessuna deve prevalere mettendo in ombra l’altra. Se ci si attiene troppo strettamente all’oggettivo, l’interpretazione risulterà arida; se invece ci si concede troppa soggettività, quel che ne risulta sarà una narcisistica descrizione di sè stessi.
Cercare più interpretazioni per un medesimo quadro è un ottimo esercizio per armonizzare queste due componenti: si impara così ad ampliare e vivificare i simboli che esso contiene, evitando però di violentarli imponendo loro significati non congeniali alla loro natura.