“Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai loro tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe“, disse Gesù ai suoi discepoli; ma in un altro passo dei Vangeli, la stessa profezia riecheggia, rivolgendosi direttamente al Cristo stesso: “Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell’Uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso“.
La pelle di Gesù è pallida, il suo corpo sembra avvolto da una luce bianca, la luce del martirio; la testa piegata all’indietro in un sordo grido di dolore, gli occhi ormai perduti nella sofferenza. Ma il particolare più raccapricciante è l’espressione del volto di coloro che lo stanno tormentando. Non c’è traccia di crudeltà, accanimento, non c’è né ira né collera, ma un contegno serio e grave, come di chi sta compiendo semplicemente il proprio dovere solenne.
Anche le persone che assistono allo spettacolo hanno la stessa espressione, quasi un’ostentata indifferenza. Se potessero parlare direbbero certamente qualcosa tipo:”E’ crudele, ma non c’era altra cosa da fare, era l’unica soluzione”. Solo un bambino, sulla destra, è voltato per non guardare la scena: vorrebbe essere un simbolo di innocenza, ma di fatto è piuttosto l’allegoria dell’impotenza e dell’ignavia.
Spesso dietro i crimini più efferati si nasconde proprio la ferma convinzione di essere nel giusto. Se i sacerdoti mandarono al flagello Gesù, non fu per invidia o meschinità, ma per la ferma e santa convinzione di proteggere il loro popolo, di salvaguardare la Legge e di preservare il fragile equilibrio politico di quegli anni di confusione. Eppure proprio questo desiderio di fare del bene diventa una via perversa tramite il quale il male si manifesta nel mondo!
Anche i “pagani” fustigatori, in fin dei conti, non stanno facendo altro che il loro mestiere: rifiutare il compito del torturatore significherebbe disertare, una pericolosa infrazione dell’ordine gerarchico. Forse si potrebbe anche cercare una sfumatura di rimorso fra le pieghe dei loro occhi, ma che importa, dal momento che continuano a dar frustate?
Ecco, il male è venuto al mondo tramite coloro che sono convinti di essere nel giusto, e quello stesso male cresce per mano dei soldati che eseguono senza obiettare i loro ordini.
Quante volte simili situazioni si sono ripetute nella storia! Nessuno vuole il male, tutti cercano attivamente il bene, e proprio nel cercarlo creano l’esatto opposto.
Basterebbe un po’ di dubbio, per allentare quella soffocante sicurezza in sè stessi che è la causa di tanta rovina: quello stesso dubbio che la Chiesa definisce l’arma principale del Diavolo. Ma a pensarci bene, chi più degli appartenenti alle gerarchie ecclesiastiche è fermamente convinto di essere nel giusto?
“Noi pertanto, aderendo fedelmente alla tradizione ricevuta fin dall’’esordio della fede cristiana, a gloria di Dio nostro Salvatore, ad esaltazione della cattolica religione ed a salute dei popoli cristiani coll’approvazione del Sacro Concilio, insegniamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato, il Romano Pontefice, quando parla ex Cathedra, ossia quando, esercitando l’uffizio di Pastore e Dottore di tutti i cristiani, per la sua suprema apostolica autorità definisce una dottrina sulla fede o sui costumi doversi tenere da tutta la Chiesa, per l’assistenza divina, a lui nel beato Pietro promessa, godere di quella infallibilità di cui il divin Redentore volle essere fornita la sua Chiesa nel definire una dottrina sulla fede o sui costumi, e pertanto tali definizioni del romano Pontefice essere per se stesse e non pel consenso della Chiesa, irreformabili. Se alcuno poi, tolgalo Iddio, osasse contraddire a questa nostra definizione, sia anatema.”
Ah, per quanti secoli il Figlio dell’Uomo è rimasto nelle mani dei sommi sacerdoti e degli scribi!
C’è una meravigliosa poesia di Jacopone da Todi, “Donna de Paradiso”, che racconta la Passione vista dagli occhi di Maria:
«Donna de Paradiso,
lo tuo figliolo è preso
Iesù Cristo beato.
Accurre, donna e vide
che la gente l’allide;
credo che lo s’occide,
tanto l’ho flagellato»
e poi continua, con il popolo che reclama la morte di Gesù:
«Crucifige, crucifige!
Omo che se fa rege,
secondo la nostra lege
contradice al senato».
Vengono in mente altri versi, dalla canzone Geordie di De Andrè:
«Né il cuore degli inglesi né lo scettro del re
Geordie potran salvare,
anche se piangeran con te
la legge non può cambiare».
Gli uomini non possono controllare la legge: ma come, non l’hanno creata loro stessi? Forse la legge ha preso vita propria, come un idolo sfuggito al controllo dei propri teurghi?
O è soltanto una scusa, un paravento dietro cui nascondere le proprie viltà, evitandone la responsabilità?
Forse entrambe le cose sono vere: la legge è un idolo costruito con i migliori intenti e le migliori speranze degli uomini, ma che finisce per attrarre e concentrare proprio l’esatto opposto – meschinità, sospetti, paure.
La via della società è la via della legge: le due cose paiono quasi coincidere. Ma è possibile anche un’altro contegno, che non sia né imposizione né rinuncia. La via opposta è un cammino di umiltà e povertà di spirito, fatto non di convinzioni gridate ai quattro venti, ma di domande sussurrate. Non è la via degli eroi, ma esige una forza molto più dolce e delicata, capace di rinunciare e donarsi.
Senza sprecare troppe parole, lasciamo il campo a Bouguereau, che lo dipinge mirabilmente, ispirandosi ad un altro noto passo del Vangelo: “Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui.”
A ben vedere, non si tratta nemmeno di una decisione propria: altrimenti si potrebbe anche pensare che il gesto di Simone sia mosso da vanità, o da esibizionismo, o dal desiderio di ricompense. Anche questa è invece un’imposizione forzata: ma la grandezza d’animo sta tutta nel modo in cui lui ha saputo farsene carico.