La decapitazione è un simbolo potente, che ricorre con varie accezioni tanto nell’arte che nella religione e la storia.
Come ogni simbolo, i significati rivestiti possono essere i più disparati e diversi. Il più immediato è proprio la separazione fra corpo e testa: in essa si intravede il distacco dalla materia dello spirito. E’ in questo senso che va inteso il senso nascosto del martirio per decapitazione di molti martiri cristiani, a partire da San Paolo:
Il pittore spagnolo Enrique Simonet ha circondato la testa d’un alone luminoso: un richiamo alla classica aureola dell’iconografia dei santi, che al tempo stesso ha l’effetto di far risalatare meglio l’imortante dettaglio della testa, che altrimenti si confonderebbe con lo sfondo. Ma la luminosità della testa sta proprio a significarne l’importanza: idea e spirito che rimane forza viva anche dopo la morte, mentre il corpo al contrario si accascia a terra, carne morta. D’altronde è innegabile che la dottrina di San Paolo abbia plasmato per secoli e millenni la storia d’Europa – e forse continua ad agire tutt’ora!
Ma non è certo solo San Paolo l’unico martire cristiano ad esser stato decollato:
Il dipinto del Beato Angelico raffigura la decapitazione dei santi Cosma e Damiano. La radice di tale esecuzione però non è certo cristiana; probabilmente la pratica di tagliare la testa è nata subito dopo l’invenzione della prima lama!
La stessa predicazione del Cristo è stata preceduta da una celeberrima decapitazione, che pose fine alla vita di Giovanni il battista.
Andrea Solario ha dipinto la testa di Giovanni il battista su un piatto in argento. Fu la bella Salomè che chiese ed ottenne la testa del battista come ricompensa per una sensuale ed irresistibile danza dei sette veli.
Tiziano ce la dipinge in maniera quasi casta, mentre tiene in braccio con espressione candida ed ingenua il suo crudele premio:
Gustave Moureau, che fu ossessionato dalla sua figura, ce la mostra più crudemente, mentre esegue la sua famosa danza:
Delle due versioni, forse la più spaventosa è quella di Tiziano: la crueltà è tanto più terrificante quando è mescolata all’innocenza!
Ma già l’antico testamento riporta casi di decapitazione talmente esemplari da esser diventati delle vere e proprie icone della nostra cultura. Caravaggio ritrae senza mezzi termini Giuditta che taglia la testa ad Oloferne; l’eroina ha un’espressione priva della minima traccia di compassione, mentre il condottiero muore con una smorfia spaventata e sorpresa. A guardare i volti, si direbbe quasi che Caravaggio parteggi per Oloferne!
Non è un caso che dietro entrambe le decapitazioni ci sia una figura femminile. Qui sta l’altro, importante significato del simbolo, che fa da contraltare terrestre all’altra spiegazione più celeste: la decapitazione è infatti un pietoso eufemismo per accennare al penoso mistero dell’evirazione.
Già Franz Von Stuck dipinse in tal senso la scena di Giuditta e Oloferne:
Ma è Gustav Klimt che spingerà al limite questa dinamica, dipingendo una Giuditta peccaminosa e sprezzante, mentre la testa è ormai relegata in un angolo, mezza tagliata fuori dal quadro:
Klimt era ben cosciente che Giuditta e Salomè sono due lati della stessa donna!
Lo stesso Moreau comprese bene quell’intricato nodo di sesso, maternità, infantilismo e colpa che si cela dietro questo simbolo. Nel suo quadro “L’apparizione”, la testa di Giovanni il battista si alza e si para davanti alla donna, seguendo le regole rappresentative degli incubi, come una memoria che torna a fronteggiare ossessivamente il colpevole.
Eppure nel volto della “colpevole” non c’è traccia di pentimento alcuno!
I simboli hanno una loro vita propria. Possono sembrare dimenticati, morti definitivamente, ma in realtà stanno semplicemente attendendo il momento del loro ritorno, come braci sotto la cenere.
C’è un altra occorrenza storica, in cui la decapitazione è tornata prepotentemente sulla scena, ed è la rivoluzione francese con la sua ghigliottina.
Il quadro, di Emile Friant, si intitola “La pena di morte”, ed è stato realizzato nel 1908, quando ormai la società francese aveva già deciso di escludere dal proprio ordinamento la pena di morte. Ma sappiamo che prima di tramontare, il fuoco di tale cruda usanza aveva raggiunto vigori inimmaginabili!
In questo caso il simbolo del distacco della testa si veste di un altro significato ancora: la testa è l’aristocrazia, che finora ha guidato il popolo così come la mente comanda al corpo. Anche il nostro corpo può ribellarsi, se la nostra volontà esige troppo da lui: l’idea che la volontà sia onnipotente non è che una speranzosa illusione. Provate voi a voler digiunare per mesi, o a trattenere il respiro per ore, o a correre senza sosta per giorni, e vedrete quanto poco la volontà può averla vinta contro il corpo!
In questo caso il protagonista del distacco non è la testa, ma il corpo. Eppure in entrambi i casi si tende a dimenticarsi di un particolare fondamentale: la conseguenza diretta della decapitazione è la morte. Non c’è vita se la testa rimane senza corpo, e non c’è vita nemmeno se è il corpo a rimanere senza testa!