31. La testa del moro a Lovran, in Croazia

Da sempre popoli e nazioni diverse sono arrivati ed andati da queste terre; ma il tempo sembra chiuso fuori dalla città, e nella piazza principale sembra di respirare ancora l’aria della Serenissima Repubblica di Venezia. Le vie rimangono silenziose: la gente è indaffarata altrove, o forse rimane soltanto a casa a riposare, mentre fuori imperversa il sole d’estate ed il vento d’inverno. E fuori intanto le viuzze, i cortili e le calli rimangono deserte.  Forse in questa quiete solitaria è nascosto un monito: popoli e nazioni diverse possono di volta in volta reclamare una terra come propria, ma è un atto vano, perchè se la terra rimane sempre lì, la gente passa, sorge e tramonta.

Sul portone d’ingresso di una di queste vecchie case c’è una vistosa e colorata effige, che ricorda proprio una di queste alternanze storiche:

Lovran - testa di moroLa data riportata è il 1722: era da poco terminata la settima guerra turco-veneziana, che riguardava fra le altre zone proprio la Dalmazia.
La storia la fanno i vincitori, e i turchi sconfitti assunsero di conseguenza il ruolo dei cattivi della storia; ma la loro reputazione fra la popolazione locale era già pessima, visto che il loro arrivo significava in genere saccheggi e devastazioni.

Nel nostro portale il turco è stato trasfigurato in maniera caricaturale, fino a diventare la maschera stessa della malvagità. I baffi si spandono in volute circolari come fiamme nere, e due ricci neri gli escono anche dalla bocca, come se fosse il fumo che esce dalle fauci d’un drago.

Lovran - testa di moroIl motivo per cui il terribile moro è stato messo a guardia della porta si rifà ad un modo di ragionare magico antico quanto l’uomo: per scacciare ciò di cui si ha paura bisogna usare una cosa spaventosa, e perciò per allontanare il male si usa proprio l’immagine del male!

L’uso della testa di moro come amuleto apotropaico, già diffuso a Venezia, è ancora vivo e ben radicato in tutta la regione fiumana. Il Morčić è un oggetto tutt’ora vendutissimo in tutta la zona, sia nelle gioiellerie che nei negozi di souvenir. Viene rappresentato tradizionalmente sugli orecchini, ma si trova anche su anelli o ciondoli.

MorčićDal 1990 la testa del moro è stata eletta come uno dei simboli della città di Fiume. Non è anche questa una forma di conquista, non militare ma culturale?

Venezia emerse vittoriosa dalle sue guerre con i turchi, ma è innegabile che lo spirito moresco abbia impregnato a fondo l’anima della Serenissima. Non è anche questa una vittoria, più sottile, ma anche più profonda?

30. La testa mozzata

La decapitazione è un simbolo potente, che ricorre con varie accezioni tanto nell’arte che nella religione e la storia.

Come ogni simbolo, i significati rivestiti possono essere i più disparati e diversi. Il più immediato è proprio la separazione fra corpo e testa: in essa si intravede il distacco dalla materia dello spirito. E’ in questo senso che va inteso il senso nascosto del martirio per decapitazione di molti martiri cristiani, a partire da San Paolo:

Il pittore spagnolo Enrique Simonet ha circondato la testa d’un alone luminoso: un richiamo alla classica aureola dell’iconografia dei santi, che al tempo stesso ha l’effetto di far risalatare meglio l’imortante dettaglio della testa, che altrimenti si confonderebbe con lo sfondo. Ma la luminosità della testa sta proprio a significarne l’importanza: idea e spirito che rimane forza viva anche dopo la morte, mentre il corpo al contrario si accascia a terra, carne morta. D’altronde è innegabile che la dottrina di San Paolo abbia plasmato per secoli e millenni la storia d’Europa – e forse continua ad agire tutt’ora!

Ma non è certo solo San Paolo l’unico martire cristiano ad esser stato decollato:

Beato Angelico - La decapitazione dei santi Cosma e DamianoIl dipinto del Beato Angelico raffigura la decapitazione dei santi Cosma e Damiano. La radice di tale esecuzione però non è certo cristiana; probabilmente la pratica di tagliare la testa è nata subito dopo l’invenzione della prima lama!

La stessa predicazione del Cristo è stata preceduta da una celeberrima decapitazione, che pose fine alla vita di Giovanni il battista.

Andrea Solario - Testa del BattistaAndrea Solario ha dipinto la testa di Giovanni il battista su un piatto in argento. Fu la bella Salomè che chiese ed ottenne la testa del battista come ricompensa per una sensuale ed irresistibile danza dei sette veli.

Tiziano ce la dipinge in maniera quasi casta, mentre tiene in braccio con espressione candida ed ingenua il suo crudele premio:

Tiziano - Salomè

Gustave Moureau, che fu ossessionato dalla sua figura, ce la mostra più crudemente, mentre esegue la sua famosa danza:

Gustave Moreau - SaloméDelle due versioni, forse la più spaventosa è quella di Tiziano: la crueltà è tanto più terrificante quando è mescolata all’innocenza!

Ma già l’antico testamento riporta casi di decapitazione talmente esemplari da esser diventati delle vere e proprie icone della nostra cultura. Caravaggio ritrae senza mezzi termini Giuditta che taglia la testa ad Oloferne; l’eroina ha un’espressione priva della minima traccia di compassione, mentre il condottiero muore con una smorfia spaventata e sorpresa. A guardare i volti, si direbbe quasi che Caravaggio parteggi per Oloferne!

Non è un caso che dietro entrambe le decapitazioni ci sia una figura femminile. Qui sta l’altro, importante significato del simbolo, che fa da contraltare terrestre all’altra spiegazione più celeste: la decapitazione è infatti un pietoso eufemismo per accennare al penoso mistero dell’evirazione.

Già Franz Von Stuck dipinse in tal senso la scena di Giuditta e Oloferne:

Franz von Stuck - JudithMa è Gustav Klimt che spingerà al limite questa dinamica, dipingendo una Giuditta peccaminosa e sprezzante, mentre la testa è ormai relegata in un angolo, mezza tagliata fuori dal quadro:

Gustav Klimt - Judith IKlimt era ben cosciente che Giuditta e Salomè sono due lati della stessa donna!

Lo stesso Moreau comprese bene quell’intricato nodo di sesso, maternità, infantilismo e colpa che si cela dietro questo simbolo. Nel suo quadro “L’apparizione”, la testa di Giovanni il battista si alza e si para davanti alla donna, seguendo le regole rappresentative degli incubi, come una memoria che torna a fronteggiare ossessivamente il colpevole.

Gustave Moureau - L'apparizioneEppure nel volto della “colpevole” non c’è traccia di pentimento alcuno!

I simboli hanno una loro vita propria. Possono sembrare dimenticati, morti definitivamente, ma in realtà stanno semplicemente attendendo il momento del loro ritorno, come braci sotto la cenere.

C’è un altra occorrenza storica, in cui la decapitazione è tornata prepotentemente sulla scena, ed è la rivoluzione francese con la sua ghigliottina.

Emile Friant - La pena di morteIl quadro, di Emile Friant, si intitola “La pena di morte”, ed è stato realizzato nel 1908, quando ormai la società francese aveva già deciso di escludere dal proprio ordinamento la pena di morte. Ma sappiamo che prima di tramontare, il fuoco di tale cruda usanza aveva raggiunto vigori inimmaginabili!

In questo caso il simbolo del distacco della testa si veste di un altro significato ancora: la testa è l’aristocrazia, che finora ha guidato il popolo così come la mente comanda al corpo. Anche il nostro corpo può ribellarsi, se la nostra volontà esige troppo da lui: l’idea che la volontà sia onnipotente non è che una speranzosa illusione. Provate voi a voler digiunare per mesi, o a trattenere il respiro per ore, o a correre senza sosta per giorni, e vedrete quanto poco la volontà può averla vinta contro il corpo!

In questo caso il protagonista del distacco non è la testa, ma il corpo. Eppure in entrambi i casi si tende a dimenticarsi di un particolare fondamentale: la conseguenza diretta della decapitazione è la morte. Non c’è vita se la testa rimane senza corpo, e non c’è vita nemmeno se è il corpo a rimanere senza testa!

29. Un cervo fatto al tombolo a Železniki, in Slovenia

Questo bellissimo cervo è stato realizzato col tombolo, una tradizionale forma di lavorare i merletti che richiede una notevole pazienza e coordinamento!

Cervo al tombolo - Železniki (Slovenia)Una delle particolarità espressive più notevoli della figura è la linea continua e ritorta su sè stessa usata per riempire le superfici. In qualche modo quella curva continua ha un che di antico, come un labirinto arcaico, e dà alla figura del cervo un’aria di magia primordiale, simile a quella che permea il cervo delle incisioni rupestri della Val Camonica:

Graffitti rupestri della Val Camonica - CervoQuanti secoli son passati da un cervo all’altro! Millenni durante i quali la cultura si è lentamente distillata, facendosi infinitamente più raffinata rispetto ai rozzi inizi: la punta grossolana che scalfiva la pietra è stata sostituita dai fuselli del tombolo che saettano al comando di agili ed esperte dita.

Ma l’anima del cervo non è forse la stessa? Dietro la diversità dei mezzi di rappresentazione, non si cela forse lo stesso animale, nobile eppur selvaggio, docile eppure antico?

28. La visione del giovane Bartholomew, di Michail Vasilyevich Nesterov

Un misterioso monaco appare al piccolo Bartholomew, e gli predice un futuro maestoso e ricco di gloria: in futuro il giovane diventerà infatti uno dei santi più venerati della Chiesa Ortodossa russa, con il nome di Sergij Radonežskij.

Michail Nesterow - La vision del giovane BartholomewFurono proprio le visioni mistiche a convincere il ragazzo a cambiare vita, rifugiandosi nella foresta per vivere una vita da eremita assieme ad alcuni seguaci.

San Sergej è vissuto nel XIV secolo, ma ancora adesso la sua figura è particolarmente viva nella devozione russa: Il santo è amato in particolare per il suo carattere umile e mite, il che – unito alla sua vicinanza al mondo naturale e selvaggio – lo rende una figura molto affine al nostrano San Francesco.

E’ degno di nota che il monaco misterioso del quadro appaia proprio vicino ad un albero, come se fosse sul limitare di una foresta. Sembra quasi che il monaco nero sia una personificazione della selva stessa, apparsa al giovane per richiamarlo a sè: un luogo di mistero tanto pericoloso quanto fonte d’una possibile rinascita spirituale.

27. Notte d’inverno, di Alphonse Mucha

Mucha è celebre per le sue elegantissime e raffinate illustrazioni in stile art nouveau. La sua opera tuttavia non si è limitata solo in questo particolare ambito: identificare l’artista in un modo così ristretto vorrebbe dire fare un torto alla sua versatilità.

Vi propongo dunque un suo quadro in cui invece delle sue consuete linee curve vi sono pennellate che assumono un tratto quasi spigoloso, ed i colori non sono i soliti, acquerellati e dai toni pastello, ma si fanno scuri e creano contrasti stridenti.
Come la maggiorparte dei quadri di Mucha, anche questo ritrae una donna. Ma non è la classica bellezza primaverile il soggetto del quadro, quanto la dura lotta dell’esistenza, che sa farsi anche asprezza e dolore.

Ma non c’è forse una bellezza anche nelle fredde notti d’inverno?

Alphonse Mucha - Notte d'inverno

26. La pergamena dell’alchimista Sir George Ripley

Ripley fu un alchimista inglese del 1400. Uno dei suoi lavori più notevoli è la sua pergamena, nota anche con il nome di “Ripley’s Scrowle”. E’ un opera molto particolare, sia per la sua estensione in lunghezza, sia perchè è un interessantissimo esempio di come l’illustrazione possa non soltanto limitarsi ad essere di corredo al testo, ma interagire con esso, circondandolo e trasformandolo. Ce ne sono rimaste più di venti versioni, che differiscono fra loro sia per la lunghezza complessiva che per alcuni dettagli, anche importanti, delle figure riportate. Questa in particolare è la versione conservata presso la biblioteca dell’università di Yale:
La pergamena di sir George RipleyOvviamente tentare un interpretazione esaustiva dell’intera pergamena sarebbe un lavoro che andrebbe fuori dal seminato rispetto alle finalità che ci siamo imposti in questa sede.

Qui ci limiteremo piuttosto a goderci i particolari più belli, in barba a tutti coloro che cercano a tutti costi di spiegare tutto esaustivamente, anche a costo di imporre interpretazioni stiracchiate!
In fondo, un’immagine enigmatica è simile ad una scatola chiusa: finchè non viene aperta, rimane meraviglioso e degno del massimo grado della nostra curiosità, e la nostra immaginazione la impreziosisce rendendola il forziere di chissà quale tesoro inestimabile. Quanto spesso l’agognata apertura di un tale forziere si rivela essere invece un’amara delusione! Non sarebbe stato meglio, allora, lasciar chiusa la scatola, lasciar intatta la speranzosa ed ingenua fantasia?

Soffermiamoci quindi sui passaggi più particolari, come questa scena che riprende e rielabora il tema biblico del serpente e dell’albero della Genesi:

Ripley's ScrowleO ancora, la potente forza espressiva dei draghi:Ripley's ScrowleRipley's ScrowleInfine, ancora uno scorcio su un passaggio carico di vigore drammatico: “L’uccello di Hermes è il mio nome, divoro le mie ali per rendermi docile”.

Ripley's Scrowle

25. Vecchi crocifissi in pietra della Slovenia

Poco oltre il confine la strada raggiunge la città di Ajdovščina: forse è cresciuta un po’ troppo in fretta, in maniera disordinata, e il suo aspetto urbanizzato cozza un po’ con le dolci campagne circostanti. Ma a nord della città svetta una catena di montagne fatta di pietra e boschi, simile ad un’enorme ondata verde. Sembrano irraggiungibili, ma una strada che si inerpica sul fianco d’una vallata ci permette di aggirarli, raggiungendo le cime alle spalle.
Si scopre così che dietro la balza aspra ed apparentemente inaccessibile è nascosto un altopiano fatto di prati e pascoli verdi, con paesini come Col e Gozd, fatti di poche case sparse di pastori e boscaioli.

Gozd - pascoliLa strada diventa sterrata, e poi si restringe in un sentiero, fino ad arrivare al ciglio della montagna, dove i prati finiscono e cadono a precipizio, regalando un bellissimo panorama sulla città e le colline più a sud.

Quasi come fosse un guardiano contro il precipizio, proprio sulla cima è stato eretto nei secoli passati un crocifisso in pietra.

Gozd - crocifissoDifficile dire in che epoca sia stato realizzato: le linee sono semplici ed ingenue, e lo stile potrebbe essere vecchio di secoli così come l’espressione di una cultura più recente, ma rimasta rurale e semplice.

Gozd - crocifissoLa croce è attorniata da quattro angeli; ma il particolare più significativo e commovente è la piccola pianta che cresce ai piedi del Cristo. Il verde che cresce nella roccia e’ l’immagine della vita che combatte per affermarsi.

Scendendo a valle e lasciando Ajdovščina ad ovest si arriva nel paesino di Vrhpolje; anche qui, sulla strada ai fianco dei campi, c’è una colonna votiva in pietra, simile a quella che abbiamo trovato su in cima:

Vrhpolie - crocifissoQuesta volta sulla pietra è riportata una data, e stando ad essa la scultura ha un’età davvero notevole! Vrhpolie - crocifissoI tratti sono così essenziali che davero non serve aggiungere alcun commento!

Sotto la scena della crocifissione c’è anche la raffigurazione di San Pietro:

Vrhpolie - crocifisso

Le sproporzioni seguono una regola psicolgica: non è il realismo o la prospettiva a determinare le dimensioni ma l’importanza del particolare. Ecco perchè la chiave, attributo fondamentale di San Pietro, è così grande rispetto ai suoi piedi!

Proseguendo ancora verso est si arriva infine ai piedi di un’altra bellissima montagna, il Nanos. Anche la cima del Nanos è circondata da pascoli che sembrano sconfinati, e che in estate si ricoprono di fiori di ogni varietà.

L’ultima stazione di questa nostra piccola via crucis è proprio lassù, in mezzo al verde:

Monte Nanos - Croce

Questa volta i rapporti si sono invertiti: la vegetazione è rigogliosa, ed è la roccia della croce a rischiare di annegare in quel magnifico mare di erba e fiori:

Monte Nanos - Croce

Che uno sia credente o meno, è innegabile che questi crocifissi di pietra abbiano un prezioso valore, sia artistico che storico.
Potrebbe venire quindi la tentazione di proteggerli e preservarli dalle intemperie, togliendoli dai campi, dalle cime e dai prati e rinchiudendoli nell’ambiente protetto d’una stanza di museo. Ma sarebbe davvero un peccato capitale!
La vitalità di queste sculture nasce anche dal luogo in cui sono poste: con la presunzione di proteggere la pietra si finirebbe per farla soffocare.
Molto meglio lasciarle lì dove sono: le croci donano sacralità al luogo, ed in cambio i pascoli e le vigne ed i boschi donano la vita del loro verde alla pietra. Imprigionarle in un museo vorrebbe dire spezzare questo dialogo secolare, e rendere una pietra viva un mero reperto, oggetto soltanto di un saltuario sguardo annoiato di qualche visitatore.