Una delle parole chiave nell’Europa del XIX secolo è stata “decadenza”. Un termine spesso abusato, ripetuto talmente tante volte da renderlo noioso e fuori moda, tant’è che alla fine si è passati ad insistere su altre parole e ad altri concetti.
Ma il nodo non si scioglie da solo, e rimane lì, anche se non lo guardiamo! Cova come una brace sotto la cenere, e anche se sembra inoffensivo, forse sta solo dormendo, e quando si risveglierà tornerà ad essere un incendio distruttivo.
L’idea di base sottostante al concetto di decadenza presupponeva una corrispondenza simbolica fra individuo, società e natura. Ad ammalarsi non erano solo le singole persone, o la morale di una nazione, non era soltanto una perdita di valori circoscritta a sè stessa: no, a deperire inesorabilmente era qualcosa alla radice di tutti questi fenomeni, ed i mali osservabili erano soltanto i sintomi di un malessere ben più profondo ed irraggiungibile.
La ferita più dolorosa si ha proprio lì dove un tempo brillavano più luminosi le luci dello spirito, della forza e della natura. Le sorgenti sacre sono state inquinate dalle fogne delle città, e gli uomini non coltivano più la terra, rendendola feconda col sudore della loro fronte, ma perdono la loro salute nelle miniere o nelle catene di montaggio delle fabbriche.
L’aristocrazia un tempo era stata il sogno dell’umanità: i più sani, puri, e forti fra gli uomini venivano posti al servizio degli altri, al tempo stesso una protezione ed una guida.
Ma è proprio nell’aristocrazia che la decadenza si è palesata con l’ironia più crudele di cui è capace.
La nobiltà si rivela alla fine soltanto un sogno, bello ma irrealizzabile: troppo facilmente la superbia e l’avidità si infiltrano nel cuore dell’uomo, e specialmente l’uomo al comando diventa una vittima inerme di fronte alle loro lusinghe.
Le risorse che erano state date al condottiero d’uomini per servire il suo popolo divengono una tentazione fine a sè stessa, ed il ruolo dell’aristocratico diventa soltanto nominale, una bugia per salvare la faccia.
Ma c’è davvero una correlazione fra salute fisica, psichica e morale?
Henri de Toulouse-Lautrec apparteneva ad una famiglia nobile, ma nacque in un corpo malato e debole, che non crebbe mai completamente. E’ difficile dire se fosse solo uno scherzo del destino, o il risultato di un sangue di famiglia ormai stanco e malato.
Certo, il fisico di Toulouse-Lautrec è già un primo aspetto della decadenza, ma è un aspetto secondario, perchè soltanto esteriore.
Dietro le apparenze del nanismo, in Toulouse-Lautrec si celava infatti uno straordinario talento pittorico; che importanza ha l’aspetto del forziere, in confronto al valore del tesoro che racchiude?
Ecco però che entra in scena un altro aspetto della decadenza, ben più grave e deprecabile: l’incapacità delle persone di comprendere il valore interno, fermandosi invece all’esteriorità più banale.
A che poteva importare, alla gente, della bravura di Toulouse-Lautrec? Per loro era soltanto uno storpio, un nanetto, da emarginare e prendere in giro!
A volerlo, ci sarebbe una sottigliezza psicologica su cui si potrebbe speculare: era veramente la gente ad esser crudele con lui, o era lo stesso Henri a porsi nella posizione di emarginato, come una reazione interna ad una propria insicurezza?
Il terzo, fatale movimento della decadenza è esemplificato proprio da questa reazione del pittore a quel sentimento di ostracismo subìto a causa del suo aspetto. Un tempo la forza d’animo avrebbe trovato un modo di reagire – magari ribadendo a gran voce il proprio valore intrinseco, oppure anche con il semplice sdegno aristocratico.
Ma non c’è più aristocrazia, non c’è più forza, solo debolezza: non c’è possibilità di riscatto, resta soltanto la fuga.
E’ proprio una tragica e vana fuga quella in cui ricadde Toulouse-Lautrec: alcolici e sesso a pagamento, la scappatoia più antica che l’uomo conosca.
Da un punto di vista egoistico, ciò per noi è stato un bene: Toulouse-Lautrec ci ha lasciato moltissime opere in cui compare una Parigi putrida e decadente, e nei suoi quadri troviamo una testimonianza lucida e cruda di una realtà che altrimenti forse ci sarebbe sfuggita, inghiottita dal flusso della storia, che tende a ricordare soltanto le cose grandiose e solari.
Una discreta fetta della produzione artistica di Toulouse-Lautrec ruota intorno al celebre locale del Moulin Rouge. Toulouse-Lautrec realizzò locandine e poster per il locale, ma anche molti quadri in cui vengono ritratti le ballerine e gli avventori, senza abbellimenti di sorta ma in una maniera cruda e quasi cinica.
La memoria storica, dicevamo, è spesso un ricordo parziale e distorto. Se pensiamo al Moulin Rouge, ci vengono in mente luci, musica, belle ragazze e allegria sfrenata; ma anche questa era una fuga nelle apparenze, per fuggire un sordido vuoto interiore.
Che importanza ha l’aspetto bello e piacevole del forziere, se al suo interno si cela un veleno bieco e misero? Dietro le luci e la musica si cela lo spettro dell’antica scappatoia umana: alcolismo e sesso a pagamento.
E’ inutile fare facile moralismi: quando non c’è più la forza per affrontare la vita, cos’altro resta se non arrendersi?
E poi ancora è facile giudicare il passato; non sarebbe meglio guardare prima noi stessi?
I capi che guidano i popoli al giorno d’oggi sono forse puri e forti? O sono a loro volta schiavi delle loro stesse avidità più basse?
La decadenza non è un fantasma del passato, ma una brace sopita sotto la cenere: forse si è risvegliata già da anni, e noi non vogliamo rendercene conto, non possiamo affrontarla, perchè ne siamo già preda, e non ne abbiamo più la forza.
Si parla di crisi: tutto sommato “crisi” è una parola piacevole, perchè presuppone una fase negativa, ma pur sempre passeggera: un momento nero ma fugace, una brutta tempesta che però prima o poi si calmerà.
Certo, le crisi economiche si infiammano e passano: ricordano la febbre quartana della malaria, che esplode ogni quattro giorni e poi sembra svanire. Ma anche quando non si esprime, il morbo rimane!
Forse la verità è al tempo stesso meno spettacolare e più grave: non si tratta di una crisi repentina e fugace, ma di un processo lungo e ricorrente, i sussulti di un’agonia lunga secoli.
Riusciremo a trovare una soluzione che non sia la solita, vecchia via di fuga?